Marine

Perché Ventotene


Ho sempre amato Ventotene, sin da quando ci andai per la prima volta negli anni ’80. Ogni qualvolta che ho bisogno di una breve vacanza la penso come luogo ideale. Per alcune estati non l’ho frequentata. Le ho preferito Mattinata, un piccolo paese sul Gargano dove amici carissimi mi mettevano a disposizione una casetta per me e mia figlia adolescente.

L’ho riscoperta l’anno scorso quando a settembre ci sono tornato per pochi giorni e con piacere non notai significativi cambiamenti. L’atmosfera era quella di sempre. Un’aria da grande famiglia allargata, che nei tardi pomeriggi si ritrova nei giardinetti di piazza Castello, dove il bar “Verde” rappresenta il solito punto di riferimento. Ho sempre gironzolato con grande piacere per le sue stradine che si affacciano inevitabilmente sul mare. Ma, fra i tanti soggiorni, solo quest’ultimo mi ha aiutato a capire bene i motivi del mio particolare, ricorrente piacere.

Nel paese non è permessa la circolazione delle auto. Quindi camminare diventa un obbligo per tutti. Ed è facile riscoprire una dimensione dimenticata. Quella del flaneur, che si lascia trasportare e non si prefigge alcuna meta. Che cammina vagando senza direzione e senza tempo. Anzi con il proprio tempo e non con quello degli altri. Che non avendo traguardi da raggiungere può abbandonarsi alle proprie impressioni visive. Così, spesso, nelle mie passeggiate mi sorprendevo ad almanaccare con ciò che il mio sguardo incontrava: per caso scoprivo la linea assoluta del mare nella cornice di una terrazza dalla prospettiva rinascimentale; l’essenziale,elementare profilo delle case che spesso diventava semplice purezza e il susseguirsi delle ocre, dei gialli degli intonaci, quinte colorate sullo sfondo marino. Insomma… emozioni pure. Quelle che si ha un gran desiderio, spesso, di condividere con gli altri, magari con gli strumenti di cui si dispone. Nel mio caso: la pittura.

Ma la dimensione senza tempo, o meglio del proprio tempo, improvvisamente, come per un click mentale, mi riportava, per certi aspetti, alla dimensione dell’ oggi. Dove ormai la pittura è assente. Dove da molti anni non si vede qualcosa di speciale che consente di ricordarla. Dalle varie Biennali o dalla stessa Documenta, la più significativa delle mostre, che si tiene a Kassel, manca quasi completamente. Sostituita delle installazioni, dai video arte e dalle fotografie, “la morte della pittura” è un fatto tangibile. Partecipe e testimone anche lei, in qualche modo,dello svilimento della cultura occidentale.

Nelle nostre società, il valore delle cose non è più determinato dal tempo di lavoro necessario a produrle, come aveva affermato Marx, ma solo dal denaro, massima astrazione. Così anche nella pittura il velocizzarsi del tempo, il tempo degli altri, ha reso desuete la costanza, la dedizione e la pervicacia nell’attività del produrre. Tanto più tempo occorre per produrre tanto meno vale il suo prodotto. L’esempio più evidente è il lavoro del contadino. Ciò che pretende tanto lavoro sempre meno viene apprezzato. Invece la pittura esige tempo. Il tempo dell’osservazione, della contemplazione e dell’elaborazione. Per raggiungere il suo scopo richiede applicazione costante e lavoro continuo. Soltanto con lo svolgersi del tempo prende forma e consapevolezza di sé. Dipingere è creare il tempo. Ma fino a quando non verrà ridimensionato il tempo degli altri, il tempo dell’alienazione da sé, diventerà impossibile rimettere al centro della propria esistenza il tempo del godimento estetico. Rimarrà improbabile fruire della bellezza senza pagare contropartite eccessive. E’ in quest’ambito che per me Ventotene non solo è e rimarrà il “bel posto per le vacanze” ma anche e sopratutto un luogo metaforico. L’isola che ci separa dal mare dei fraintendimenti. Dove l’inverosimile diventa plausibile. Dove la riappropriazione del proprio tempo può coincidere con quello della pittura.

Antonio Finelli



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